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Poesia
By admin | Luglio 1, 2008
Kurt Schwitters 1887-1948
Ad Anna Blume
MERZPOESIA
I
O tu, amata dai miei ventisette sensi, io amo
a te! – Tu di te te a te, io a te, tu a me. –
Noi?
Questo (fra parentesi) non c’entra.
Chi sei tu, innumerevole femmina? Tu sei – –
sei
tu? – la gente dice che tu sia – dicano pure,
non sanno
come sta ritto il campanile.
Tu porti il cappello sui tuoi piedi e cammini
sulle
mani, sulle mani tu cammini.
Ehi, i tuoi vestiti rossi, segati in bianche
pieghe. Rossa
io amo Anna Blume, rossa amo io a te! – Tu di
te te a te,
io a te, tu a me. – Noi?
Questo sta bene (fra parentesi) nella fredda
fiamma.
Rosso fiore, rossa Anna Blume, come dice la
gente?
Rompicapo: 1. Anna Blume ha i grilli.
2. Anna Blume è rossa
3. Di che colore sono i
grilli?
Blu è il colore dei tuoi capelli gialli.
Rosso è il tubare dei tuoi verdi grilli.
Tu modesta ragazza in abito casalingo, tu cara
verde
Bestiolina, io amo a te! – Tu di te te a te,
io a te, tu a me, –
Noi?
Questo sta bene (fra parentesi) nel braciere.
Anna Blume! Anna, a-n-n-a, io verso a gocce il
tuo nome.
Il tuo nome gocciola come morbido sego bovino.
Lo sai Anna, lo sai già?
Ti si può leggere anche dal di dietro, e tu,
tu la più
Meravigliosa fra tutte, tu sei di dietro come
davanti:
“a-n-n-a”:
Sego bovino gocciola accarezzare sulle mie
spalle.
Anna Blume, tu animale gocciolone, io amo a
te!
J.
Supervièlle
Gravitazioni
Questa sera seduto sull’orlo del crepuscolo
i piedi a dondolare sopra le onde
guarderò scendere la notte:
si crederà tutta sola
e mi dirà il cuore: fai di me qualcosa
che io senta se sono sempre il tuo cuore
Velemir
Chlebnikov
(poeta che amo da matti e che solo dei matti
possono amare del resto. Così ne scrive Luca Sklovskj: “Le volpi hanno le loro
tane, al carcerato si dà una branda, il coltello riposa nel fodero, e tu non
avevi dove posare la testa.” In effetti lui scriveva dove riusciva, raccoglieva
le carte nelle federe, e spesso riscriveva sugli stessi fogli –molto dunque è
andato perso di ciò che scriveva- quello
che c’è lo hanno fatto pubblicare i suoi amici, Majakovskij, Pasternak e la Cvetaeva che l’han sempre
considerato un maestro, un “nume tutelare”-così lo definivano. Si è però
suicidato molto giovane, non ricordo in quale anno. Lo trovo ‘bello- come l’impeto
illegale di un monsone – ignorandone il motivo’.)
Mi sono
visibili
Mi sono visibili il Cancro e l’Ariete,
e il mondo è solamente una conchiglia,
dove fa da perla
ciò di cui sono malato.
Tra fischio di fremiti incede uno scalpito,
una specie di Č,
e allora le onde e i pensieri mi parevan
parenti.
Come vie lattee qua e là spuntano donne.
Di affabile banalità
È inebriata la nebbia.
Stanotte amare poteva persino una tomba…
E il vino serale
E le donne serali
Si intrecciano in un’unica ghirlanda,
di cui sono il fratello minore.
Gli
uomini quando amano
Gli uomini, quando amano,
facendo lunghi sguardi
ed emettendo lunghi sospiri.
…
I soli, quando amano,
coprendo le gambe di stoffe di terre
e a passo di danza incedendo verso l’amica.
Gli Dei, quando amano,
serrando in giusti limiti il palpito del
cosmo,
come Puškin la fiamma dell’amore per la
cameriera di Volkonskij.
Le
ragazze, quelle che camminano
Le ragazze, quelle che camminano
Con stivali di occhi neri
sui fiori del mio cuore.
Le ragazze che abbassano le lance
sui laghi delle proprie ciglia.
Le ragazze che lavano le gambe
nel lago delle mie parole
Io
discesi giovane da solo
Io discesi giovane da solo
nella notte profonda,
sino a terra coperto
dai tesi capelli.
C’erano intorno la notte
E una gran solitudine, avevo voglia di amici,
voglia di me stesso.
Accesi i capelli, avventandomi
con brandelli di riccioli,
accesi dei campi, degli alberi-
e tutto si fece più gaio.
Ardeva il campo di Chlebnikov .
E l’Io fiammeggiava nel buio.
Adesso me ne vado,
dopo aver appiccato
il fuoco coi capelli,
ed invece dell’Io
è rimasto il Noi!
Incedi, severo varjago!
Arreca la legge e l’onore.
Si
affilia il filo azzurro delle notti
Si affilia il filo azzurro delle notti,
soffia in tutto ciò che v’è di caro,
e
qualcuno chiamava con languore,
pensando alle amarezze della sera.
Ciò accadeva quando sulle barche
Si accendevano tre stelle d’oro,
e quando una tuia solitaria
distese sopra una tomba i suoi rami.
Ciò accadeva quando i titani
Di scarlatti turbanti si vestivano,
e l’impeto illegale di un monsone
era bello, ignorandone il motivo.
Ciò accadeva quando i pescatori
Cantavano parole di Odisseo,
e in lontananza sul flutto marino
un ala in alto rilevava sghemba.
Silvia
Plath
da “Tre
donne”
-Per quanto tempo posso essere un muro, tenere
lontano il vento?
Per quanto tempo posso rendere
Meno aspro il sole con l’ombra della mano,
intercettare le frecce bluastre della luna fredda?
Le voci della solitudine, le voci del dolore
mi toccano la schiena ineluttabilmente.
Come potrà smorzarle questa piccola
ninna-nanna?
Quanto a lungo sarò un muro attorno alla mia
verde proprietà?
Quanto a lungo le mie mani
saranno una benda alla sua ferita, e le mie
parole
uccelli brillanti nel cielo per consolare, per consolare?
È così terribile
Essere così aperti: è come se il cuore
Mettesse un volto e camminasse nel mondo. –
Laure
(Colette Peignot) 1903-1938
(I suoi
scritti, scoperti dopo la morte di G. Bataille, suo ultimo compagno di vita,
sono da lei a più riprese presentati come uno stupro di sé, il tentativo di
comunicare a qualcuno ciò che è ragione di vita…)
Arcangelo o puttana
Fa lo stesso
Mi presto a tutte le parti
La vita disconosciuta
La semplice vita
Che cerco ancora
Giace
in fondo a me il loro peccato ha ammazzato
la purezza
…
La lenta compunzione dei deboli
Vivono la vita dei cadaveri
Mettere sulla mia porta
“Oh tu che entri qui
lascia ogni speranza
di non essere
ciò che sei”
oppure “Qui si vive nudo”
o nudi
o nuda
…
L’esistenza umana non ha prezzo
Né maggiore né minore prezzo di tutto ciò che
esiste
Vegetale, minerale, animale
Di tutto ciò che brilla, urla, sbraita, geme
Barrito di elefante
Muggito bovino.
L’asino raglia, il serpe sibila.
Non ci sono legami tanto forti da strappare
un essere alla morte. La morte trionfa.
Il riso- la felice insolenza: “Guidate
Il carro e l’aratro sopra le ossa dei morti”.
….
Bambino Gesù ti offro il mio cuore
Il fienile tutto sfaldato
le travi calcinate
i muri rappezzati
lentamente si afflosciano
e crollano…
Sotto gli occhi attoniti
dei passanti
la ragazzina
è là che si masturba
sul fieno.
James
Laughlin ???
Una
proposta modesta
Credo che posso offrire
questo semplice rimedio
per buona parte dei
mali di questo mondo
ciascuno sia costretto a cambiare nome
ongi dieci anni pon-
endo fine così a un
mucchio d’ambizioni
costrizioni di ego et
simili germi di dis-
cordia e vani moventi.
Ingeborg
Bachmann (1926-1973)
Tutti i
giorni
La guerra non viene più dichiarata, ma
proseguita. L’inaudito
è divenuto quotidiano. L’eroe
resta lontano dai combattimenti. Il debole
è trasferito nelle zone di fuoco.
La divisa di oggi è la pazienza,
medaglia la misera stella
della speranza, appuntata sul cuore.
Viene conferita
quando non accade più nulla,
quando il fuoco tambureggiante ammutolisce,
quando il nemico è divenuto invisibile
e l’ombra d’eterno riarmo
ricopre il ceilo.
Viene conferita
per la diserzione delle bandiere,
per il valore di fronte all’amico,
per il tradimenti di segreti obbrobriosi
e l’inosservanza
di tutti gli ordini.
Edoardo
Sanguineti
da
“Postkarten”
un ungherese con il naso storo (un eccellente
poeta, pare) mi h in-
terrogato
in piena notte, in piena Terrazije, dicendo:
come hai fatto, tu, che
non sei ancora
impazzito? (perché diceva che ho tutta l’aria
di un Artaud): e io ho
risposto, allora:
ma ci aiutano le donne, un po’:
era d’accordo (anche se ha precisato
subito
che fu omosessuale, e che adesso non chiava
niente):
ci aiutino con la
loro pazzia.
proprio, se aveva ragione quella specie di
ristampa aggiornata di un’
Elisa,
lassù, nella sede di Politika, che mi lasciò
dicendo: divertiti e ama):
…
che dolore l’amore!
ho visto un sacco di tipi ridursi come mosche
d’inverno, come flaconi crepati, come gomme da
masticare masticate:
(e io
(io che ho gridato, una volta: questa volta,
non mi freghi più), che
mi sono
strappato mani e piedi (nemmeno fossero stati
guanti e ciabatte,
guarda),
sono disposto a sputarti la mia lingua,
ancora,
a gentile richiesta:
Boris
Pasternak
da “Le
onde” 1930
…
Dove respirano l’una accanto all’altra,
e i
ganci della passione non cricchiano
e non danno un residuo di frazioni
per sventura delle madri e dei bambini.
Dove io non ricevo alcun resto
in vita spicciola dall’esistenza,
ma segno solo ciò che spendo
e spendo tutto quello che conosco.
….
Tu sei qui ancora, e mi hanno detto
ove sei adesso e ove sarai alle cinque.
Io ti potrei trovare sul Kursaal,
piuttosto che circolare invano.
Tu ascolteresti ritornando giovane,
grande, libera, audace,
dell’uomo giunto al limite
di una formica che è cresciuta troppo.
Vi sono nell’esperienza dei grandi poeti
tali tratti di naturalezza,
che non si può, dopo averli conosciuti,
non finire con una mutezza completa.
Imparentati a tutto ciò che esiste,
convincendosi
e frequentando il futuro nella vita di ogni
giorno,
non si può non incorrere alla fine, come in un
eresia,
in un incredibile semplicità.
Ma noi non saremo risparmiati,
se non sapremo tenerla segreta.
Più d’ogni cosa è necessaria agli uomini,
ma essi intendono meglio ciò che è complesso.
…
(mio modestissimo consiglio: sentirla recitata
da Carmelo Bene, ascoltarla prendere vita, animarsi, riecheggiare).
Luigi
di Ruscio
LXIX
(da Istruzioni per l’uso della repressione 1980)
La prima l’abbiam fatta appoggiati al portone
del
parlamento
ed è avvenuto che ebbe un bellissimo orgasmo e
rimase
incinta
amori veloci che riempiono di splendori la
vita
lo scoppio del più bell’amore di tutte le
storie parlamentari
del mondo
venne fuori anche la trama nera pallida della
sacra
famiglia
e anche dall’ufficio sociale per premeditare
l’aborto perché ragazza nordica
ariana germanica
era rimasta ingravidata da un degos oppure
perché
l’ingravidamento
avvenne quasi dentro il più bel parlamento del
mondo
decidemmo che ci avremmo goduto tutto scopate
e figli
lo sgravamento avvenne senza dolori e sudori
se volete sgravamenti facili fatevi
ingravidare
dentro i parlamenti nazionali o mondiali di
tutto il
mondo
…
(Mia)
Excusatio (non petita)
Epigramma
1982
…
I peli della poesia vengono divisi in mille
parti
le balle che ci racconta il potere
invece spudoratamente ce le beviamo tutte
anche in questo caso è preferibile il
contrario
beviamoci spudoratamente tutte le balle delle
poesie
e le balle che ci racconta il potere
dividiamole in mille parti con tutte
le infinite metodologie critiche
Mi sembra che
queste poesie traducano una pratica del frammento, trasmettano una vitalità che
si colloca prima di qualsiasi a priori, di qualsiasi struttura o macrocategoria
antecedente di riferimento. Aperte alla vita così pericolosamente da situarsi
al di là del confine tra piacere e dolore, tra godimento e terrore ..
Jouissance???
Come diceva James
Stephens, ‘gemello celeste’ di Joyce, la Corona della Vita non la troveranno i saggi ma
gli audaci, gli allegri, gli spericolati che sfidano gli abissi, saranno loro a
portarla ai saggi e a stupirli…
loro privi di
protezione che sputano la lingua e distribuiscono arti, estrema realizzazione
che spezza ogni confine, ogni contorno e lo ricrea subito dopo. Queste parole infatti:
“come gli artigli della magnolia, ebbri dei loro profumi, nulla chiedono della
vita” eppure la moltiplicano meravigliosamente.
Dimenticavo… manca
Majakovskij, incontrastata luce dei miei quattordici anni. Proporrei di
ascoltare La nuvola in calzoni recitata da Carmelo Bene. Trafigge la carta e arriva direttamente al
sistema nervoso credo, baconianamente.
Per ancorare quanto
riportato al mondo della clinica potrei aggiungere alcuni riferimenti a partire
da libere citazioni di Bateson: “…la miopia sistemica, il riduzionismo, la
forme più grossolane della dicotomia mente e corpo possano essere mitigati o
evitati ricorrendo a processi mentali in cui tutto l’organismo o gran parte di
esso sia usato come metafora. Probabilmente questi processi non seguono la
lunga e tediosa strada di calcolare tutte le relazioni tra variabili
importanti, ma usano vari tipi di scorciatoie e congetture. Ma tengono comunque
conto del fatto che l’ecosistema e la società sono vivi.”
é una frase tratta
da quel saggio di Una sacra unità che ho citato durante il primo incontro: “La
struttura morale ed estetica dell’adattamento umano” (1968)- e che mi sembra
preziosissimo. Come dicevo Bateson vi tematizza la preminenza in occidente
della finalità cosciente sull’adattamento umano come forma di miopia sistemica
dagli esisti disastrosi per uomo e
ambiente. Il problema-afferma- è che “manca una teoria dell’azione all’interno
dei grandi sistemi complessi, dove l’agente attivo è a sua volta parte del
sistema e ne è un prodotto.” (P.386). L’ipotesi centrale è che la sensibilità
estetica possa essere considerata come una capacità, non necessariamente
cosciente o consapevole, di cogliere le interrelazioni e le connessioni
dell’esistente, una capacità ecologica di entrare in sintonia con ‘la struttura
che connette’, e che tale sensibilità possa venirsi perciò a configurare
come una qualità morale di importanza
primaria. Per lo stesso motivo ciò che risulta mostruoso sul versante estetico potrebbe
essere considerato il risultato, il prodotto di una patologia culturale e
individuale (si può vedere a questo proposito anche Politica della bellezza di
Hillman).
Questo mi sembra
quanto mai pertinente con i nostri discorsi sul sacro, tra mappa e territorio, tra
creatura e pleroma, nonché ottima argomentazione
sulla necessità di attingere all’arte, ancora prima che alla filosofia, per
addentrarsi nella cura in modo da far sì che il pensiero non possa essere
colonizzato dai ‘discorsi’, non del tutto almeno.
è che purtroppo-
così scrive Bateson- “di solito gli psicologi si esprimono come se le
astrazioni di certe relazioni (dipendenza, ostilità, amore etc..) fossero
oggetti reali che devono essere descritti o espressi dai messaggi. Ma questa è
un’epistemologia che procede alla rovescia. In realtà sono i messaggi che
costituiscono la relazione e le parole come dipendenza sono solo descrizioni
verbalmente codificate di modelli immanenti nella combinazione dei messaggi
scambiati. Come abbiamo sottolineato non ci sono oggetti nella mente …” (1979).
Ingenuità epistemologica
che mi sembra i nostri seminari continuino a cercare di smascherare, così come
diversi presupposti impliciti che sembrano radicati nel pensiero occidentale
(si pensi a quel che dice Foucault nel Theatrum su Deleuze e la filosofia:
“Bisogna dunque liberarla (la materialità dei corpi) dal dilemma vero-falso,
essere-non essere (che non è che la differenza simulacro-copia che si
ripresenta una volta per tutte) e lasciarli condurre le loro danze, recitare le
loro parti, come degli “extra-esseri”” per lasciare il posto ad una ”fisica del
fantasma”.)
Inutili
sottigliezze filosofiche? Non credo
visto l’altissimo rischio della clinica, così bene rilevato da Foucault, di
trasformarsi in forma inconsapevole di normalizzazione.
Scrive Deriu a
questo proposito un elogio della clinica di Bateson che sembra sfuggire al
rischio di reificazione: “La rete di relazioni tra individuo, famiglia, gruppi,
società, cosmovisione e ambiente naturale, struttura un’organizzazione
complessiva che, a sua volta, costruisce la propria autonomia e quella delle
singole parti. Tale organizzazione oscilla continuamente tra omestasi e
metamorfosi, globali e locali, per cui l’autentico rompicapo su cui si
arrovella Bateson è rappresentato dalla scoperta delle modalità con cui viene evitata la creazione
di “versioni esagerate, cioè caricature, della norma culturale”.
Impresa non facile,
si vedano per questo le dettagliate critiche sull’attuale presa in carico
Psy nel mondo francese- che però credo
siano estensibili in modo sensato anche a noi- del sociologo Alain Eherenberg.
Così scrive nel suo articolo “Le changements de
la relation normal-patologique. A’ propos de la souffrance psychique et de la
santé mentale”:
Oggi “non solo
nessuna malattia ma nessuna situazione sociale problematica può essere
considerata o affrontata senza prendere in considerazione la sofferenza
psichica. Qui è la novità: questa preoccupazione per i disturbi di massa della
soggettività individuale. Questi permeano oggi l’insieme della vita sociale, e
si tengono in bilico tra disagio e patologia, cattiva condotta e devianza. Ma
di quale soggettività parliamo?” (p.134)
“La mia ipotesi può
essere formulata come segue: la coppia sofferenza psichica-salute mentale si è
imposta nel nostro vocabolario nella misura in cui i valori della proprietà di
sé e della scelta della propria vita, della realizzazione personale (quasi
diritto dell’uomo) e dell’iniziativa individuale si ancorano nell’opinione. È
l’ideale di autonomia che si traduce nella vita quotidiana di ciascuno. Io
considero questa coppia come l’espressione pubblica delle tensioni di un tipo
di individuo a cui si domanda certo sempre della disciplina e dell’obbedienza,
ma soprattutto dell’autonomia, la capacità di decidere ed agire a partire da
sé. Se è vero che l’autonomia, “il fatto di agire da sé” è una caratteristica
universale dell’azione umana, su un piano sociologico si potrebbe dire che la
norma sociale spinga ad adottare una disciplina dell’autonomia (comprese le
professioni operaie e gli impiagati). L’obbedienza meccanica (“i corpi docili”
descritti da Foucault) non sono
evidentemente scomparsi, ma sono stati inglobati nell’iniziativa. Altrimenti detto, quello che noi chiamiamo
individualismo oggi riguarda i cambiamenti dei nostri modi di agire e di giustificare
le nostre azioni. L’allargamento dei confini del sé si è accompagnato
all’aumento parallelo della responsabilità e dell’insicurezza personale.”
(p.135). [perdonatemi la traduzione frettolosa e orrenda].
Interessante
prospettiva mi sembra sui cosiddetti nuovi sintomi da cui credo si possa trarre
un’importante suggerimento per i clinici, ovvero quello di interrogarsi prima
di tutto, sui rapporti tra sapere, verità e soggettività, come ha fatto
Foucault nell’Ermeneutica del soggetto.
La genealogia del
soggetto che Foucault ha tentato di tracciare in queste lezioni ci permette di
ricollocarlo nel campo storico delle pratiche e dei processi entro cui si
trasforma, in rapporto con le tecniche di dominio (più precisamente vi sono
descritti gli esercizi delle antiche scuole di filosofia ellenistiche come tecniche del sé foriere di una possibilità di soggettivazione intesa come
scelta di esistenza che mirava all’autonomia attraverso un determinato rapporto
con sé, formazione immanente che trovava glorioso paradossale compimento nella
vecchiaia e nella morte). Proprio perché il rapporto del soggetto con la verità
è un fatto storico può essere analizzato e trasformato: in questa chiave
l’antico può problematizzare fecondamente l’attuale.
Mi sembra una riformulazione
dell’interessante osservazione posta da Michele Capararo in uno dei nostri
seminari: cerchiamo di esplorare diverse possibilità etiche del soggetto, unica
vera possibile lotta attuale contro l’assoggettamento (rimando qui alla poesia
di Bachmann sopra citata).
Cosa aggiungere? mi sembra, con un po’ di
fretta di aver detto quanto mi premeva, ovvero quanto preziosi possano essere
gli apporti dei nostri tre pensatori per una clinica viva e quanto la poesia
possa dare corpo di carne-deleuzianamente- a simili pensieri.
Andrée
Topics: Incontri | 1 Comment »
Luglio 1st, 2008 at 08:35
«poesia, divisione assoluta del linguaggio, che lo restituisce identico a se stesso ma dall’altra parte della morte; rime delle cose e del tempo. Dall’eco fedele nasce la pura invenzione del canto»
Michel Foucault, Raymond Roussel, p.64.